BENVENUTI A TUTTI!

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Siamo la 2^ F della Scuola Media di Agnosine, in provincia di Brescia, e questo è il nostro blog! Lo abbiamo creato perché vogliamo condividere con altri ragazzi le nostre storie, le nostre riflessioni e le cose belle e brutte che ci capitano...

martedì 31 gennaio 2012

VECCHIO FAGGIO, VECCHIO SAGGIO

 Questo racconto di Nadia ha vinto il primo premio al concorso di scrittura 
Racconta la Montagna
patrocinato dal Comitato Montano di Valle Sabbia
in collaborazione con i Comuni di Sabbio Chiese, Odolo, Vestone, Idro, Bagolino



Passi.
Passi pesanti sulle foglie secche del bosco.
Troppo rozzi per essere di un animale.
Sono passi di uomo.
A noi alberi piacciono gli uomini, ma nessuno dei faggi e degli abeti di questi monti li conosce bene come me.
Fu circa cento anni fa che scoprii il mondo di questi strani animali. Ero già un faggio molto robusto e vecchio e portavo sulla schiena l’esperienza di trecento anni. Avevo visto sorgere i primi villaggi e li avevo visti crescere; quanto mi piaceva guardare e dominare tutte quelle casettine dai tetti a-guzzi!
Poi vidi la rovina dei monti e dei boschi: vidi cadere tanti miei fratelli sotto l’implacabile scure dei boscaioli; vidi le casettine dai tetti aguzzi moltipli-carsi come formiche e rubare i monti al bosco; vidi nascere enormi case con il tetto piatto e lunghi camini da cui usciva instancabilmente un fumo nero che annebbiava la mente degli alberi, degli animali e degli uomini.
Fu proprio allora che scoppiò il primo grande incendio che infiammò i no-stri rami e i nostri cuori. Le fiamme avvolgevano un monte dopo l’altro, crudeli e maligne. Magnifiche, potenti, luminose, ma estremamente mal-vagie.
In quell’era in cui pensavo che per le montagne tutto fosse perduto incon-trai l’uomo che mi cambiò la vita. Più precisamente un piccolo di uomo, un germoglio. Un germoglio con i riccioli rossi e un’abbondante manciata di lentiggini sul viso.
Stava rincasando fischiettando con una fascina sulle spalle, quando il suo sguardo si posò su di me. Lasciò cadere la legna e mi corse incontro: <<Che vecchio!>>, esclamò e in un battibaleno eccolo a cavalcioni sui miei rami. Veniva a trovarmi tutti i giorni, la sera, e mi parlava. La sua voce mi entrava nel cuore e il sussurro dei miei rami entrava nel suo. Tra noi c’era un legame tanto dolce e speciale che sembrava non dovesse mai finire.
Ma un giorno, quando ormai quel bambino era diventato un ragazzo forte, salì sui miei rami per l’ultima volta, mormorando: << Vado in America.  Addio. >>, e una goccia d’acqua cadde sulla mia corteccia, proprio di fronte a lui.
Eppure non pioveva.
Da quel giorno guardai gli uomini con un occhio diverso, anche se non co-nobbi più qualcuno così speciale. Persino le case e le fabbriche avevano un aspetto più familiare.
Ricominciai a vivere.
Mi accorsi che c’era qualcosa che gli uomini non avevano ancora rubato ai monti.
Non avevano tolto ai miei occhi le meraviglia dell’autunno, quando la mon-tagna sembra la tavolozza di un pittore distratto, che mescola tutti i colori.
Non avrebbero potuto rubare la primavera, quando sui ciliegi esplodono fiori candidi, che vestono a nozze la montagna. Lo sposo è il sole, che sorge accompagnato dalla sua corte d’oro, baciando con i suoi raggi la montagna, arrossita timidamente.
Anche gli uomini guardano con ammirazione questo spettacolo. Quel gruppo di alpinisti che passa di qui la domenica mattina di certo non è in-differente alle meraviglie della natura. Si fermano sempre qua accanto e dicono con voce affascinata e occhi meravigliati da bambino: <<Guarda! Da qua si vede il monte Guglielmo… e anche la penisola di Sirmione!>>
Lo ripetono tutte, ma proprio tutte le volte che passano da qui, e sempre con la stessa sorpresa!
Credo siano i loro passi quelli che sento.
Beh, voglio vedere se recitano anche oggi la solita frase.
Eccoli,
stanno arrivando…
ma…
non sono affatto loro!
Mi guardano e si dicono qualcosa, alzano una motosega. So che cosa si sono detti anche senza averli sentiti.
Ma io sono pronto.


(Elanor)