BENVENUTI A TUTTI!

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Siamo la 2^ F della Scuola Media di Agnosine, in provincia di Brescia, e questo è il nostro blog! Lo abbiamo creato perché vogliamo condividere con altri ragazzi le nostre storie, le nostre riflessioni e le cose belle e brutte che ci capitano...
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giovedì 12 settembre 2013

UN'AVVENTURA MOZZAFIATO di Alberto F.

Mi chiamo Alberto e amo molto la natura e gli animali. Il mio racconto ve lo dimostrerà! 

Peter era un simpatico ragazzo di dodici anni. Era abbastanza alto e robusto, molto veloce e agile come uno scoiattolo.
Nel viso tondo e colorito risaltavano gli occhi grandi e vispi, azzurri come il cielo; i capelli ricci color rame gli davano un tocco selvaggio.
Viveva con i genitori a Grindelwald, un paesino ai piedi delle Alpi Svizzere dove il papà gestiva alcune malghe.
Peater fin da piccolo seguiva il papà nel lavoro; all'età di quattro anni aveva imparato a pascolare le mucche in compagnia del suo fedele cane da pastore Dalì.
Ora poteva da solo dare il fieno alle mucche, mungere a mano, fare il burro e lavorava nei campi soprattutto d'estate e nei fine settimana.
Era particolarmente socievole: tutti in paese lo conoscevano ed egli conosceva tutti e chiacchierava con chiunque lo avvicinasse.
Agli anziani si rivolgeva in dialetto per parlare di animali, di caccia, di piante, con le signore commentava il tempo, ai bambini permetteva di accarezzare i cuccioli di cane, gli agnellini e i vitellini.
Andava a scuola volentieri anche se soffriva a stare per più di due ore in un luogo chiuso; per questo i professori gli concedevano di fare quattro passi in cortile ogni tanto.
Peater aveva un grande sogno, voleva diventare un veterinario per poter curare e far nascere gli animali che adorava.
In una notte di inverno, buia e nevosa, stava aiutando il papà a intagliare il legno quando sentirono bussare alla porta.
Il padre, Piero, mandò Peater ad aprire; si trovò davanti tre uomini con indosso giubbotti di pelle e cuffie di pelo. Dalle loro spalle pendevano fucili, nella cintura erano infilati coltelli.
Peater restò sbalordito, ma il più anziano dei tre lo rassicurò che non volevano fargli del male; il ragazzo chiamò il padre al quale chiesero ospitalità per quella notte.
Piero, sapendo che c'era in arrivo una bufera di neve rispose subito di sì e li fece accomodare nella camera degli ospiti.
Peater era rimasto impressionato da quei strani tipi, nel recarsi a dormire si fermò a origliare dietro alla loro porta e li sentì bisbigliare:
Li beccheremo domani ai piedi del San Gottardo.”
Sarà un gioco da ragazzi intrappolare quegli stupidi cervi!”
Peater capì in quell'istante che si trattava di bracconieri: doveva avvisare subito il suo amico Jon. 
Pronto, Jon, ho bisogno di parlarti, una questione urgente. Vediamoci davanti alla chiesa tra dieci minuti.” 
Come faccio ad uscire senza farmi beccare dai miei genitori, Peater?!” 
Usa il solito modo! Esci dalla finestra e calati dall'albero, ha sempre funzionato!” 
Va bene... arrivo.”
Peater si imbacuccò, uscì dalla casa senza far rumore e si diresse all'appuntamento. Arrivato, Jon gli chiese cosa ci fosse di tanto urgente e l'amico gli raccontò tutto.
Decisero di mettere a punto un piano per fermare quei cacciatori di frodo.
Peater non chiuse occhio per tutta la notte al pensiero di ciò che lo aspettava il giorno successivo; non appena sentì rumori e voci provenire dalla camera dei tipi si preparò e spedì un messaggio a Jon.

Una mezz'ora più tardi i due amici stavano percorrendo una stradina di montagna a una distanza adeguata dai bracconieri che controllavano i dintorni con un binocolo.
Camminarono per ore e ore, affondando nella neve, nascondendosi tra le rocce, attenti a non farsi scorgere e preoccupati di perdere di vista i tre uomini.
Quando questi si fermarono, Jon cercò di capire, leggendo con attenzione la mappa, dove si trovavano.
Non avevano dubbi: erano ai piedi del San Gottardo.
Jon telefonò ad un suo amico, agente della Guardia Forestale, il quale comunicò che li avrebbe raggiunti entro tre ore perché il loro mezzo era bloccato al Passo dell'Orso a causa di una bufera di neve.
Peater con il binocolo teneva d'occhio i bracconieri; in lontananza scorse altre due figure che si dirigevano verso di loro.
Dopo un po' li vide unirsi alla combriccola e confabulare con loro ad ampi gesti, stavano mettendo a punto il loro diabolico piano!
Di lì a poco li videro dirigersi ognuno in un punto diverso: appostandosi come d'accordo.
I due ragazzi decisero di muoversi portandosi il più vicino possibile agli uomini fino a ritrovarsi nascosti dietro ad un masso.
Peater si accorse che il più anziano aveva imbracciato il fucile e stava prendendo la mira; afferrò la sua mitica fionda e scagliò con tutta la sua forza e la precisione di cui era capace un sasso che centrò il bersaglio colpendo l'uomo al braccio.
Anche Jon fece lo stesso con l'altro cacciatore.
Disorientati, barcollarono entrambi e caddero a terra; i due ragazzi li raggiunsero di corsa, li legarono e li imbavagliarono.
Erano ora indecisi sul da farsi, sentirono degli altoparlanti che intimavano l'alt:
Corpo forestale, gettate le armi e arrendetevi!” 
Incredibile! Erano arrivati proprio al momento giusto!Gli agenti, dopo aver ammanettato i delinquenti, si congratularono con i due amici e proposero loro di entrare a far parte della loro pattuglia.Peater e Jon accettarono l'incarico a patto che i turni li facessero sempre insieme, e da quel momento diventarono piuttosto famosi nelle montagne dove vivevano.

sabato 27 luglio 2013

AVVENTURA IN MADAGASCAR di Arianna M.

Ciao, sono Arianna, una ragazza timida e piuttosto studiosa. Ho deciso di scrivere una storia d'avventura perché mi piace questo genere. Spero piaccia anche a voi!

Alexandra è una giovane ragazza tunisina con splendidi occhi marroni e i capelli biondi, fino a pochi giorni prima che inizi la sua avventura faceva la cameriera in un albergo, ma è stata licenziata perché iniziava il suo turno sempre in ritardo a qualsiasi ora fosse fissato.
Era più forte di lei, non riusciva proprio a dar retta alla sveglia e neppure all'orologio!
La sua amica Lisa glielo ripete spesso:
Sbrigati che farai tardi!”, ma Alexandra proprio non ci sente da quell'orecchio. 
Cosa faccio ora?”, chiese Alexandra alla sua amica mentre le stava riempiendo un bicchiere di coca-cola alla spina dietro il bancone. 
Ti trovi un altro lavoro, semplice!”, rispose Lisa che faceva la barista da oltre un anno nello stesso posto, ovvero quello dove ora si trovavano. 
Certo! Semplice!”, Alexandra era piuttosto depressa. 
Se ti metti a cercare lavoro con quell'umore di certo non lo trovi, amica mia...”, sospirò Lisa. 
Perché non partiamo? Ci facciamo una vacanza finalmente, ne parliamo da un po', ma a causa del lavoro non ce la siamo mai potuta fare... ora però...”
Alexandra la guardò come se fosse una buona idea e Lisa decise di stare al gioco: 
Certo! È il momento migliore per partire... perché non andiamo in Madagascar?” 
Fantastico!”, strillò Alexandra, “Dammi un'ora e ritorno qui con tutto l'occorrente!”
Lisa non fece neppure in tempo a dirle che stava scherzando che già la sua amica era sparita. 
E' impazzita”, bofonchiò Lisa e ritornò dai suoi clienti.

Alexandra ritornò come promesso dopo poco più di un'ora con un bel pacco di depliants di viaggio dedicati al Madagascar e... due biglietti d'aereo già prenotati per la settimana successiva!
Alex ma tu sei pazza! Io stavo scherzando!” 
Lo so”, rispose ridendo, “ma è un'ottima idea e vedrai che non te ne pentirai!”
Avrebbe voluto strozzarla, ma più ci pensava e più le cresceva la voglia di scappare da lì e andare in quel luogo meraviglioso.
Va bene”, disse dopo aver servito un cliente scorbutico e maleducato, “mollo tutto e si parte!” 
Evviva!”, gridò Alexandra e le due amiche si abbracciarono felici.

Come da programma la settimana successiva salirono sul volo diretto alla capitale, Antananarivo, pronte per lanciarsi alla scoperta dell'isola e delle sue meraviglie.
Arrivarono nel tardo pomeriggio e una volta raggiunto l'hotel ebbero giusto il tempo di farsi una doccia veloce e di andare a cena, erano stanchissime, ma felici e per il giorno dopo avevano un programma ricchissimo.
Domani andiamo alla ricerca dei lemuri”, disse Lisa mentre stavano rientrando nella loro camera. 
Non vedo l'ora!”, rispose Alexandra, poi si buttò sul letto e si addormentò come un sasso e vestita di tutto punto.
La mattina seguente si svegliarono di buonora, si vestirono come fossero delle esploratrici navigate e chiesero alla reception se ci fosse disponibile una guida locale che le potesse accompagnare a scoprire i luoghi più belli dell'isola.
Conobbero quindi Sam, un ragazzino sveglio e sorridente, che quando le vide sorrise ancora di più. 
Vogliamo vedere i lemuri”, disse Lisa al ragazzo e lui rispose: 
Non c'è problema!”
In effetti la riserva naturale dove vivevano tutte le specie protette dell'isola era uno spettacolo difficilmente descrivibile, erano ore che camminavano tra i sentieri e la vegetazione fitta, ma di lemuri neppure l'ombra. 
Avevi detto “non c'è problema”, Sam... ma dove stanno questi lemuri?”
Sam alzò le spalle sorridendo, mica erano cagnolini i lemuri, si nascondevano quando i turisti passavano.
Questa spiegazione le deluse parecchio. Sam le lasciò un po' sole per riposarsi sotto una palma del viaggiatore.
Mentre stavano chiacchierando lamentandosi della mancanza dei lemuri, le due ragazze udirono dei suoni soffocati e delle imprecazioni a bassa voce provenire da un punto poco lontano da loro. Senza dire una parola si avvicinarono restando però nascoste e videro due uomini che stavano catturando un piccolo lemure con un sacco di iuta. Fecero appena in tempo a rendersi conto di quello che stava succedendo che già i due farabutti erano spariti.
Mamma lemure uscì allo scoperto chiamando con gemiti da spezzare il cuore il suo cucciolo, ma non c'era più nulla da fare.
Lisa e Alexandra si guardarono e decisero che quell'ingiustizia ai loro amici lemuri non si poteva perdonare quindi... scattarono all'inseguimento del piccolo senza pensare al rischio che stavano correndo.
Sono andati da quella parte!”, disse un ragazzo che probabilmente aveva intuito qualcosa e si era unito a loro nell'inseguimento. 
Si può sapere cos'avevano nel sacco?”, chiese l'amico del ragazzo mentre correvano cercando di non inciampare nelle radici degli alberi e nelle liane. 
Un cucciolo di lemure!”, risposero Lisa e Alexandra in coro. 
Allora dobbiamo prenderli e farli neri!”, risposero i ragazzi.
La corsa ad un certo punto finì, erano finiti i sentieri... dei due tipi non c'era traccia. 
Non possono essere lontani”, disse Lisa. 
Sono solo bravi a nascondersi, ma noi siamo in quattro e siamo più furbi quindi...”, il ragazzo le sorrise, “a proposito, io sono Max e lui è Peter.” 
Ciao Max, ciao Peter... io sono Lisa e lei Alexandra...” 
E siamo molto arrabbiate... dobbiamo salvare quel cucciolo!”, Alexandra non voleva mollare. 
Aspettate, state zitti... lo sentite anche voi?”
Un rumore di avviamento di un motore, proveniva da dietro la roccia che stava loro di fronte. 
Andiamo!”, ordinò Max.
Uno dei tipi stava alla guida di un camioncino che aveva come carico molte gabbiette con dentro diverse specie di cuccioli.
Il suo complice stava caricando le ultime gabbie e nessuno dei due si era accorto di essere spiato. 
Tu e Lisa state qui, io e Max andiamo a stenderli con un pugno!”, disse Peter. 
Neanche per sogno”, rispose Lisa, “noi ci occupiamo di uno e voi dell'altro...” e senza aspettare risposta si lanciarono contro quello che stava facendo il carico.
Con un bel calcio e una mossa imparata nel corso di difesa personale le due ragazze riuscirono a buttare a terra l'uomo e gli si sedettero sopra la schiena per immobilizzarlo.
Max e Peter invece bloccarono il tipo alla guida, e con un pugno lo tramortirono. 
Bel colpo ragazzi!”, Sam era proprio lì davanti a loro e stava saltellando sul posto come se avesse appena assistito alla scena di un film. 
Si può sapere cosa stai a fare lì impalato? Dacci una mano!”, sbottò Lisa che aveva paura che il tipo sdraiato sotto di loro potesse liberarsi. 
Nessun problema”, rispose Sam, “polizia arriva tra poco!”

Infatti dopo pochi minuti eccoli lì gli agenti della forestale che ammanettati i bracconieri si congratularono con i quattro ragazzi.
Non male come primo giorno di vacanza!”, disse Lisa ridendo. 
Te l'avevo detto che non te ne saresti pentita”, le rispose Alexandra.
I due ragazzi le guardarono come aspettandosi qualcosa:Neppure un grazie per noi? Eppure senza di noi vi sareste messe davvero nei guai!”, si lamentarono. 
Questo non è detto, ma comunque grazie per l'aiuto”, disse Alexandra, “se volete potete unirvi a noi per la cena...”
Lisa non poteva credere alle sue orecchie, certe volte Alexandra era veramente invadente! 
Volevamo infatti invitarvi... noi”, disse ridendo Max. 
Ma visto che ci avete anticipato la richiesta... non possiamo che... accettarla”, aggiunse Peter.
Le ragazze ne furono felici e quelle vacanze furono davvero indimenticabili, per tutti loro.
Lisa e Alexandra, infatti, decisero di restare per un po' in quell'isola da sogno, assieme a quelli che sarebbero diventati entro breve tempo i loro mariti.
E vissero tutti felici e contenti!

sabato 6 luglio 2013

LA CITTA' MARINA di Lorenzo B.

Il mio nome è Lorenzo e mi piacciono molto gli animali acquatici, in particolare gli squali, per questo il mio racconto parla proprio di loro! 
PS: la forma che ho scelto è simile a quella di un soggetto cinematografico visto che amo i film.




PRIMA PARTE
Nel profondo del mare, dove gli uomini non possono arrivare, esiste una città minacciata da forze oscure.
Il nome di questa città è Squalolandia, qui vivono tutti gli squali e un gruppo di essi sono scelti apposta dal Re per difendere l'intera comunità.
Il nome del loro gruppo è “gli squali bianchi”, i loro nomi sono: Gordon, Sauro, Rolfo, Eracolo, Lorenzo, Mat, Flip, Bronk e Cait.
Questi squali sono i più forti, i più veloci e i più intelligenti, ma anche loro alcune volte commettono errori molto gravi, che scopriremo procedendo con la nostra storia.
Gli squali bianchi erano stati scelti da Re Reginal catturato e trasformato in pietra dai granchi e dai pesciragno.
Reginal governava il regno con serietà e in modo onesto, e dalla sua scomparsa tutta Squalolandia andò nel panico.

SECONDA PARTE
L'unico punto in cui si vedeva la sabbia era la famosa base dei granchi e pesciragno.
Un giorno dalla base uscirono prima i pesciragno e poi i granchi, marciarono per andare a conquistare le ultime due città prima della fine di Squalolandia.
La loro strategia di battaglia era così forte che nessuno poteva eguagliarla.
Conquistarono tutte e due le città come se per loro fosse stato solamente un gioco. Avevano deciso quale sarebbe stato il loro prossimo passo da compiere: distruggere Squalolandia.
Quando arrivarono si misero nella posizione della battaglia e cominciarono a distruggere a tutto spiano.
Il gruppo degli squali bianchi cercò di pensare ad un piano molto velocemente, ma Cait con la sua presunzione e la sua rabbia partì alla carica senza dire la parola magica (che avrebbe fatto comparire una lancia) e totalmente disarmato si buttò nella mischia.
Con un colpo venne trasformato in pietra.

TERZA PARTE
Gli amici di Cait andarono subito ad aiutarlo. Si divisero: quattro andarono a combattere mentre gli altri quattro andarono ad aiutare Cait, lo portarono alla base operativa dove lo adagiarono sul letto e si presero cura di lui.
Gli altri quattro squali che stavano combattendo tornarono alla base privi di forze. Uno di loro, Rolfo, pensava alla città e a quanto la amava, non poteva sopportare che venisse distrutta, allora disse ai suoi compagni di scappare perché lui aveva deciso di sacrificarsi per salvare tutti.
Quando il gruppo se ne andò, Rolfo si lanciò contro i pesciragno e con una lancia si trafisse il cuore, era quello l'unico modo per far esplodere la lancia.
Qualche minuto dopo ci fu un'enorme esplosione e molti granchi e pesciragno morirono.
Le ultime parole di Rolfo lo squalo-eroe erano state: 
Per il mio gruppo e per la mia città!”
Gli ultimi pesciragno e granchi rimasti, che erano comunque molti, tornarono alla base credendo di aver vinto, ma non era affatto così!


QUARTA PARTE
I pesciragno quando furono alla base, al sicuro, vennero convocati dal Re Pesceragno, perché voleva sapere se avessero compiuto la loro missione.
Loro risposero con un sorriso maligno.
Granchi e pesciragno insieme al loro re tornarono sul luogo dell'accaduto per vedere se tutto andasse bene.
All'improvviso un granchio disse: 
Adesso che non c'è più niente da distruggere chi comanderà?”
Senza pensarci su neanche un istante i pesciragno risposero: 
Noi!”
Bastò questo a scatenare una tremenda battaglia tra le due specie, e di questo ne approfittarono gli squali bianchi che, carichi com'erano di rabbia, sbaragliarono i due eserciti con facilità.
Ma non era ancora finita, purtroppo, dovevano ancora sconfiggere il terribile Re dei pesciragni.
Una volta sistemato lui tutto sarebbe ritornato alla normalità.

QUINTA PARTE
Gli squali bianchi si lanciarono all'attacco della base dei pesciragno e lì trovarono il loro Re.
La battaglia cominciò e Flip e Bronk vennero schiantati contro le mura della torre.
Allora i loro amici agilmente schivarono gli attacchi del Re Pesceragno con le lance lo colpirono in mezzo agli occhi e lui accecato perse la direzione.
Gli squali ne approfittarono e lo colpirono senza pietà, finché non esplose.
Tutte le anime trasformate in pietra tornarono nei loro corpi e con il passare del tempo ricostruirono la città marina.

domenica 23 giugno 2013

LA STORIA DI KOLE di Simone S. (1°F)

Il mio nome è Simone e amo molto l'avventura, compresi i personaggi come i banditi e i briganti, quelli che ti scatenano l'adrenalina.







Prima di tutto mi presento: mi chiamo Kole.
Io sono un sud americano di undici anni, con la mia famiglia e due carovane guidate da mio papà, ci spostiamo continuamente nel Gran Canyon, ma il luogo che abbiamo attraversato più spesso è la pista del Bright Angel. Quella coda di terra e rocce, ci ha protetto da tante cose: prima di tutto dal clima, lì è molto mite e favorevole rispetto ad altri ripari. Poi, è una zona che i banditi più terribili, non conoscono e quindi non c’è il pericolo che ci facciano delle imboscate.
A proteggerci, comunque, ci sono anche gli indiani che quando abbiamo bisogno, ci forniscono di cibo, acqua e protezione, per quando ci spostiamo in zone non proprio sicure. Noi tanto tempo fa abbiamo fatto un patto con gli indiani, un patto di mutuo soccorso e ci aiutiamo in ogni situazione.
A proposito di banditi: i banditi più pericolosi nel Gran Canyon sono i Gold Finger: Gold, perché sono cacciatori di persone o schiavi, per farli lavorare fino alla morte scavando nella roccia per trovare l’oro. E Finger, perché devono ricostruire le mani del loro capo, di oro, perché gli sono saltate via a causa dell’esplosione di una bomba.
Ho sentito parlare molto di loro da un vecchietto, che mi disse che suo figlio, un bel giovanotto di venti anni, era stato rapito da due soldati semplici dei Gold Finger. L’avevano messo nel reparto di quelli che possono lavorare tutto il giorno. Il posto era un vero inferno.
Il giovane si ritrovò prigioniero in uno stanzone roccioso, assieme a molti altri. Tutti in fila due a due, e poi venivano separati: quelli a destra, si sarebbero salvati e avrebbero lavorato fino al resto dei loro giorni, invece quelli a sinistra, sarebbero stati messi, in grandi prigioni sotterranee e lasciati morire per mancanza di cibo, di acqua, di ossigeno e per le malattie. Anche per quelli che lavoravano le cose non si mettevano bene: uno a uno, cadevano a terra, sfiniti e lasciati lì a marcire. Gli schiavi potevano godere di mezz'ora di riposo, al massimo. Il cibo scarseggiava, e molti di loro infatti morivano denutriti.
Quel giovane, fortunatamente, riuscì a cavarsela: riuscì a sottrarre senza essere preso i vestiti di una delle guardie (di solito usavano coprirsi il volto per non farsi riconoscere) e li indossò. Così conciato riuscì a fuggire e a mettersi in salvo. Tanti furono gli schiavi che tentarono questa mossa, ma nessuno di loro riusciva a parlare come uno di loro, quel giovane invece lo sapeva fare, parlava come uno del posto. Miracolosamente, riuscì a salvarsi, ma la strada per arrivare all’accampamento, era così lontana per le sue condizioni, che morì soltanto dopo soli due chilometri di cammino. Il corpo lo trovarono in mezzo al deserto, durante uno spostamento di carovane. Il padre appena seppe la notizia, si disperò a morte. Infatti anche oggi si ricorda la sua morte con una preghiera recitata dal capo tribù.
Come stavo dicendo, io ho undici anni, e quando si arriva al dodicesimo compleanno, da noi si compie un rito di iniziazione. Il rito di iniziazione, è la celebrazione del passaggio da bambino all'adulto. In pratica, dopo il rito, devi mettere la testa a posto e ragionare come un adulto.
Io ho già assistito ad un rito di iniziazione: il capo indiano recita una preghiera di benedizione mentre l'iniziato mastica delle erbe allucinogene che lo fanno addormentare. Io sono arrivato fino a qui, poi ho dovuto andarmene, la parte sacra non mi hanno permesso di scoprirla. A dire la verità, io non mi sentivo tanto pronto per il rito, ero ancora un ragazzino viziato e non me la sentivo di affrontare prove pericolose in cui potevo farmi male e non uscirne vivo.
Ad ogni modo, non sarei stato solo, avrei affrontato le prove con un mio amico di nome Cui.
Cui non è come me, anzi, ha subito parecchie violenze fin da bambino dai suoi genitori, era abituato a essere forte e a difendersi per sopravvivere.
Non sapevamo cosa sarebbe successo: era tutta una questione di destino. Il grande giorno arrivò. I miei mi dissero di andare nel tepee del Grande Capo Maricoleap. Mi sentii a disagio, ma finché c’era Cui mi sentivo al sicuro. Maricoleap, buttò in aria le mani con uno scatto fulmineo e iniziò a recitare delle formule magiche per invocare gli Spiriti affinché ci dessero la loro protezione. Poi fece preparare un infuso di erbe che ci fece bere. Appena lo bevemmo, ci fece svenire dallo schifo: sembrava di bere un rospo in decomposizione da tre mesi, putrefatto. Quando ripresi i sensi mi ritrovai nel deserto. C’era soltanto sabbia, qualche cespuglio e montagne. In tasca mi accorsi di avere un biglietto: lo estrassi e lessi:

Carissimo kole, se per caso non te ne fossi accorto, sei stato sottoposto ad un rito di iniziazione. Ti ho fatto addormentare con delle erbe. Se proseguirai sul tuo cammino, più avanti troverai un fucile ed un coltello. Fanne buon uso, sia per difenderti che per cacciare. Se questo ti fa sentire più tranquillo, sappi che ha partecipato al rito anche il tuo amico Cui. Occhio a non farti beccare dai banditi. Il tuo compito è quello di tornare a casa due giorni se possibile. E ricorda che quando tornerai a casa, dovrai comportarti come un uomo. Gli altri non dovranno difendere te, ma sarai tu a dover difendere gli altri. Ricorda che se hai bisogno di noi devi fare un grande fumo, e noi ti verremo in soccorso. Cerca di non morire, maricoleap

Ammetto che ci rimasi male, soprattutto leggendo quel: cerca di non morire.
L’avrà scritto perché della mia vita non gliene fregherebbe nulla neanche se mi torturassero davanti a lui? Dopo tutte le storie che avevo sentito sui banditi che rapivano la gente, mi terrorizzai al punto di muovermi come se stessi derubando una casa con la paura di farmi scoprire. Mi incamminai, raccolsi le armi e me le sistemai sulla schiena. Girando nel deserto a vuoto, senza punti di riferimento, cominciai ad avere paura. Non sapevo la direzione da prendere per incontrare Cui. Ad un tratto in lontananza, scorsi un corpo steso a terra e, pensando fosse Cui svenuto, mi avvicinai. Non era lui. Era soltanto un gigantesco bisonte, a cui mancava un pezzo di pancia: era stato divorato dagli avvoltoi. Da qualche parte lì dentro uscì un luccichio, era una grande pallottola d’oro e in quel momento mi vennero in mente i Gold Finger. Sono cercatori d'oro professionisti, quella era una traccia sicura della loro presenza.
Iniziai a pensare che sarei finito così: schiavo di lingotti.
Smisi di pensare per non cadere nel panico e imbracciai il fucile pronto per sparare. Non ne potevo più di camminare, stavo morendo dalla sete e dallo sfinimento. Caddi a terra. Ricordai quel giovanotto e la fine che fece: lì, per terra, da solo come un cane ad aspettare che la morte gli venisse incontro e con un colpo di falce lo mandasse all'altro mondo.
Ma ecco che vidi venirmi incontro qualcuno, di statura bassa, forse un bambino, con il mio stesso sguardo e il mio stesso desiderio di bere. Alzai lo sguardo sotto il sole cocente e vidi Cui. All’istante ripresi tutte le mie energie. Il mio amico era vivo e questo mi dava forza nuova. Mi misi subito in piedi e lo abbracciai più forte che potevo. Mi disse che aveva visto una grotta molto annerita perché molto in alto. Secondo lui, c'erano anche delle falde acquifere lì vicino, in cui poterci dissetare. Gli raccontai del bisonte e della pallottola, ma lui come al solito mi disse di lasciare perdere. Quando scalammo la montagnetta, ci accorgemmo che nella grotta, non arrivarono i raggi del sole e così feci un po' di luce. Sotto ai miei piedi si scoprì una piccola falda acquifera. Non sprecammo l’opportunità. Bevemmo come dei cani, non ci importava nemmeno se ingoiavamo della sabbia. All’improvviso, sentimmo un voce che ci disse:
Si, si, bevete pure, così avrete più energia per andare nella vostra nuova casa!”
Mi venne un colpo al cuore, sono certo che si fermò almeno per un minuto. Il bandito venne fuori dall’ombra. Era vestito quasi tutto di nero e aveva un grande cappello. Dalla spalla al petto aveva un cinturone di cuoio da cui pendevano dei proiettili e delle piccole bombe a mano. La faccia era coperta da una bandana. Al dito indossava un anello rotondo, d’oro, con incise le lettere GF (le sigle di Gold Finger). In vita, al cinturone, portava una pistola nera con inciso un teschio sul manico.
Visto che lo stavo guardando un po' incuriosito ed un po' terrorizzato, mi diede un calcio sulla bocca:
Maledetti bastardi, se non volete morire o lavorare per l’eternità, ditemi dov’è la vostra carovana!” 
Noi gli rispondemmo che eravamo stati abbandonati, e che il nostro padrone era morto.
Lui fece una smorfia: 
Lavoravate per quel tizio?”
Mentendo gli dicemmo che quello ci faceva lavorare giorno e notte e che ormai a lavorare sodo eravamo abituati già dalla nascita.
Una balla che doveva spingerlo a non sprecare l’opportunità di farci lavorare come schiavi invece di non ucciderci subito. Come stavo dicendo, lui prese il fucile e con un colpo di manico, ci colpì fortemente entrambi sulla testa. Mi svegliai per il rumore di un colpo di pistola, proprio accanto a me. Presi un tale spavento che mi alzai in piedi di scatto, per ritrovarmi faccia a faccia con un ciccione pelato, ma con una folta barba nera.
Indossava soltanto un gonnellino fatto di stracci. In mano aveva un frusta nera, formata da tantissime catene di ferro.
Si mise ad urlare, con un calcio nello stomaco colpì Cui e lo fece svegliare. Un brutto risveglio non c'è che dire, povero Cui. Il bestione ci disse di girarci, ma appena ci girammo ci diede una frustata così forte sulla schiena da farci saltare via dei pezzi di carne e di sangue. Quel colpo fu così doloroso da farci urlare, e quando lo facevamo il bestione ce ne dava un’ altra, fino a quando imparammo che stare zitti conveniva. Cominciammo a guardarci intorno. Era una grotta gigantesca e il soffitto arrivava fino a circa ottanta metri. Intorno a noi c’erano almeno un centinaio di persone. Tutti avevano in mano un piccone e continuavano a scavare. Per spostarsi usavano dei grandi ponteggi, sul quale gli schiavi potevano salire o scendere in base al lavoro che dovevano fare. Ci avevano riempiti di botte eppure volevamo soltanto dissetarci alla grotta e... adesso eccoci qui. Avrei fatto sicuramente la stessa fine di quel giovane, ma senza tentata fuga. L’unica cosa che vedevo in quell’enorme grotta, erano persone innocenti di tutti i tipi: bambini, adulti e anziani. Il ciccione mi ordinò di fare quello che facevano gli altri. Prese un anziano che non riusciva neanche a tenere il piccone in mano e lo uccise per darmi il suo piccone. Cui, invece, avrebbe raccolto le pietre per caricarle nella carriola e portala da quelli che la analizzavano in cerca dell'oro. Dopo una lunga giornata di lavoro, ci dissero di andare a dormire, nel luogo che loro ci indicavano. Purtroppo, i posti in cui dovevamo dormire, non erano un gran che. Era soltanto una stanza, si dormiva distesi per terra, al freddo, e con mille guardie che non distoglievano mai gli occhi da noi. Se beccavano qualcuno parlare, questo si prendeva cento frustate per ogni parola. Proprio quella notte, assistetti alla morte di un bambino di cinque anni per delle frustate. Quello mi fece capire tutta la loro crudeltà. Visto che non potevo parlare cominciai a pensare ai miei genitori: non gli avrei visti mai più e sarei marcito in quel buco per l’eternità. Il mattino successivo, mi svegliai bruscamente da una tremenda frustata alla schiena: era stato quel tizio ciccione, era lui di guardia, e quindi non sarebbe stata una bella giornata. Purtroppo, Cui era stato spostato in un altro settore, però, dormivamo l’uno accanto all’altro, sperando che primo o poi saremmo usciti da quel buco orrendo. Volevo scappare, pure nel più brutto dei modi, dalle latrine, ma in qualche modo volevo cavarmi fuori da quell'inferno. In quei giorni, dovetti mettercela tutta per non essere ucciso, mi mancavano le forze. Finalmente fu l'ora di dormire, continuavo a fissare la guardia: stava allerta e ci guardava uno ad uno. Ogni tanto gli cadeva la testa sul petto e poi si ridestava, finché si addormentò. Speravo di poter agire, ma non potevo. Anche il mio vicino di giaciglio era sveglio, e approfittai per parlarci: 
Come ti chiami?” 
Mi chiamo Napa... hai fame?”
Io feci segno di sì con la testa e lui dalla tasca estrasse una salsiccia. Mi disse di mangiarla e io lo feci senza pensarci due volte, la mangiai in un solo boccone. Disse che l’aveva rubata dalle tasche di una guardia quella mattina. Quando mi svegliai, sentii dire dalle guardie che il capo, aveva portato tanta polvere da sparo proveniente dalla Columbia e che l’avrebbero messa in enormi sacchi, vicino a dove lavoravamo, certi che noi non sapessimo cosa fosse. Notai che alcune sere delle guardie ne prendevano un po’ e poco dopo si sentivano degli scoppi. Pensai a Napa: se era riuscito a prendere quella salsiccia dalle tasche di una guardia, allora, poteva prendere anche la polvere da sparo di nascosto!
Avevo un piano che ci avrebbe salvato tutti. Mi serviva, però, una fonte di calore. Mi vennero in mente le parole di Maricoleap. Per avere il loro aiuto, dovevo soltanto fare un grande fumo. La sera, quando la guardia si addormentò, parlai a Napa del piano che avevo in mente. Gli chiesi se fosse in grado di procurarmi della polvere da sparo e una pietra focaia. Lui disse sì. La sera dopo, arrivò con tutto quello che gli avevo detto, come se non ci fosse nessun problema o ostacolo. Gli spiegai che proprio quella notte, con il mio piano, avrei liberato tutti da quell’orribile buco. Feci passaparola a tutto il mio piano, appena avessero sentito il mio urlo si sarebbero dovuti spostare tutti con me. Presi la pietra focaia e il bastone che mi aveva dato Napa, e accesi un piccolo fuoco.
Misi il fuoco sulla polvere e sentii dei gridolini. Mi misi ad urlare come un matto. Gli scoppi si susseguirono ovunque fino a far saltare le porte, i muri e i ponteggi che crollarono tutti. Meno male che nessuno di noi morì. Le guardie, sì, quasi tutte, perché lanciavamo su di loro la polvere: morivano come mosche. Questo posto, conteneva centinaia di guardie, ma la stanza che li conteneva fu chiusa da un enorme masso, non potevano proprio passare. Trascorse molto tempo prima che ci fu di nuovo silenzio. A parte le urla dei soldati rimasti bloccati nella cella. Gli indiani, vedendo il fumo, ci vennero in soccorso.Maricoleap, per la nostra resistenza nella grotta infernale, ci premiò come futuri Kaoi delle carovane.
Ora siamo considerati da tutti come degli eroi.