BENVENUTI A TUTTI!

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Siamo la 2^ F della Scuola Media di Agnosine, in provincia di Brescia, e questo è il nostro blog! Lo abbiamo creato perché vogliamo condividere con altri ragazzi le nostre storie, le nostre riflessioni e le cose belle e brutte che ci capitano...

domenica 23 giugno 2013

LA STORIA DI KOLE di Simone S. (1°F)

Il mio nome è Simone e amo molto l'avventura, compresi i personaggi come i banditi e i briganti, quelli che ti scatenano l'adrenalina.







Prima di tutto mi presento: mi chiamo Kole.
Io sono un sud americano di undici anni, con la mia famiglia e due carovane guidate da mio papà, ci spostiamo continuamente nel Gran Canyon, ma il luogo che abbiamo attraversato più spesso è la pista del Bright Angel. Quella coda di terra e rocce, ci ha protetto da tante cose: prima di tutto dal clima, lì è molto mite e favorevole rispetto ad altri ripari. Poi, è una zona che i banditi più terribili, non conoscono e quindi non c’è il pericolo che ci facciano delle imboscate.
A proteggerci, comunque, ci sono anche gli indiani che quando abbiamo bisogno, ci forniscono di cibo, acqua e protezione, per quando ci spostiamo in zone non proprio sicure. Noi tanto tempo fa abbiamo fatto un patto con gli indiani, un patto di mutuo soccorso e ci aiutiamo in ogni situazione.
A proposito di banditi: i banditi più pericolosi nel Gran Canyon sono i Gold Finger: Gold, perché sono cacciatori di persone o schiavi, per farli lavorare fino alla morte scavando nella roccia per trovare l’oro. E Finger, perché devono ricostruire le mani del loro capo, di oro, perché gli sono saltate via a causa dell’esplosione di una bomba.
Ho sentito parlare molto di loro da un vecchietto, che mi disse che suo figlio, un bel giovanotto di venti anni, era stato rapito da due soldati semplici dei Gold Finger. L’avevano messo nel reparto di quelli che possono lavorare tutto il giorno. Il posto era un vero inferno.
Il giovane si ritrovò prigioniero in uno stanzone roccioso, assieme a molti altri. Tutti in fila due a due, e poi venivano separati: quelli a destra, si sarebbero salvati e avrebbero lavorato fino al resto dei loro giorni, invece quelli a sinistra, sarebbero stati messi, in grandi prigioni sotterranee e lasciati morire per mancanza di cibo, di acqua, di ossigeno e per le malattie. Anche per quelli che lavoravano le cose non si mettevano bene: uno a uno, cadevano a terra, sfiniti e lasciati lì a marcire. Gli schiavi potevano godere di mezz'ora di riposo, al massimo. Il cibo scarseggiava, e molti di loro infatti morivano denutriti.
Quel giovane, fortunatamente, riuscì a cavarsela: riuscì a sottrarre senza essere preso i vestiti di una delle guardie (di solito usavano coprirsi il volto per non farsi riconoscere) e li indossò. Così conciato riuscì a fuggire e a mettersi in salvo. Tanti furono gli schiavi che tentarono questa mossa, ma nessuno di loro riusciva a parlare come uno di loro, quel giovane invece lo sapeva fare, parlava come uno del posto. Miracolosamente, riuscì a salvarsi, ma la strada per arrivare all’accampamento, era così lontana per le sue condizioni, che morì soltanto dopo soli due chilometri di cammino. Il corpo lo trovarono in mezzo al deserto, durante uno spostamento di carovane. Il padre appena seppe la notizia, si disperò a morte. Infatti anche oggi si ricorda la sua morte con una preghiera recitata dal capo tribù.
Come stavo dicendo, io ho undici anni, e quando si arriva al dodicesimo compleanno, da noi si compie un rito di iniziazione. Il rito di iniziazione, è la celebrazione del passaggio da bambino all'adulto. In pratica, dopo il rito, devi mettere la testa a posto e ragionare come un adulto.
Io ho già assistito ad un rito di iniziazione: il capo indiano recita una preghiera di benedizione mentre l'iniziato mastica delle erbe allucinogene che lo fanno addormentare. Io sono arrivato fino a qui, poi ho dovuto andarmene, la parte sacra non mi hanno permesso di scoprirla. A dire la verità, io non mi sentivo tanto pronto per il rito, ero ancora un ragazzino viziato e non me la sentivo di affrontare prove pericolose in cui potevo farmi male e non uscirne vivo.
Ad ogni modo, non sarei stato solo, avrei affrontato le prove con un mio amico di nome Cui.
Cui non è come me, anzi, ha subito parecchie violenze fin da bambino dai suoi genitori, era abituato a essere forte e a difendersi per sopravvivere.
Non sapevamo cosa sarebbe successo: era tutta una questione di destino. Il grande giorno arrivò. I miei mi dissero di andare nel tepee del Grande Capo Maricoleap. Mi sentii a disagio, ma finché c’era Cui mi sentivo al sicuro. Maricoleap, buttò in aria le mani con uno scatto fulmineo e iniziò a recitare delle formule magiche per invocare gli Spiriti affinché ci dessero la loro protezione. Poi fece preparare un infuso di erbe che ci fece bere. Appena lo bevemmo, ci fece svenire dallo schifo: sembrava di bere un rospo in decomposizione da tre mesi, putrefatto. Quando ripresi i sensi mi ritrovai nel deserto. C’era soltanto sabbia, qualche cespuglio e montagne. In tasca mi accorsi di avere un biglietto: lo estrassi e lessi:

Carissimo kole, se per caso non te ne fossi accorto, sei stato sottoposto ad un rito di iniziazione. Ti ho fatto addormentare con delle erbe. Se proseguirai sul tuo cammino, più avanti troverai un fucile ed un coltello. Fanne buon uso, sia per difenderti che per cacciare. Se questo ti fa sentire più tranquillo, sappi che ha partecipato al rito anche il tuo amico Cui. Occhio a non farti beccare dai banditi. Il tuo compito è quello di tornare a casa due giorni se possibile. E ricorda che quando tornerai a casa, dovrai comportarti come un uomo. Gli altri non dovranno difendere te, ma sarai tu a dover difendere gli altri. Ricorda che se hai bisogno di noi devi fare un grande fumo, e noi ti verremo in soccorso. Cerca di non morire, maricoleap

Ammetto che ci rimasi male, soprattutto leggendo quel: cerca di non morire.
L’avrà scritto perché della mia vita non gliene fregherebbe nulla neanche se mi torturassero davanti a lui? Dopo tutte le storie che avevo sentito sui banditi che rapivano la gente, mi terrorizzai al punto di muovermi come se stessi derubando una casa con la paura di farmi scoprire. Mi incamminai, raccolsi le armi e me le sistemai sulla schiena. Girando nel deserto a vuoto, senza punti di riferimento, cominciai ad avere paura. Non sapevo la direzione da prendere per incontrare Cui. Ad un tratto in lontananza, scorsi un corpo steso a terra e, pensando fosse Cui svenuto, mi avvicinai. Non era lui. Era soltanto un gigantesco bisonte, a cui mancava un pezzo di pancia: era stato divorato dagli avvoltoi. Da qualche parte lì dentro uscì un luccichio, era una grande pallottola d’oro e in quel momento mi vennero in mente i Gold Finger. Sono cercatori d'oro professionisti, quella era una traccia sicura della loro presenza.
Iniziai a pensare che sarei finito così: schiavo di lingotti.
Smisi di pensare per non cadere nel panico e imbracciai il fucile pronto per sparare. Non ne potevo più di camminare, stavo morendo dalla sete e dallo sfinimento. Caddi a terra. Ricordai quel giovanotto e la fine che fece: lì, per terra, da solo come un cane ad aspettare che la morte gli venisse incontro e con un colpo di falce lo mandasse all'altro mondo.
Ma ecco che vidi venirmi incontro qualcuno, di statura bassa, forse un bambino, con il mio stesso sguardo e il mio stesso desiderio di bere. Alzai lo sguardo sotto il sole cocente e vidi Cui. All’istante ripresi tutte le mie energie. Il mio amico era vivo e questo mi dava forza nuova. Mi misi subito in piedi e lo abbracciai più forte che potevo. Mi disse che aveva visto una grotta molto annerita perché molto in alto. Secondo lui, c'erano anche delle falde acquifere lì vicino, in cui poterci dissetare. Gli raccontai del bisonte e della pallottola, ma lui come al solito mi disse di lasciare perdere. Quando scalammo la montagnetta, ci accorgemmo che nella grotta, non arrivarono i raggi del sole e così feci un po' di luce. Sotto ai miei piedi si scoprì una piccola falda acquifera. Non sprecammo l’opportunità. Bevemmo come dei cani, non ci importava nemmeno se ingoiavamo della sabbia. All’improvviso, sentimmo un voce che ci disse:
Si, si, bevete pure, così avrete più energia per andare nella vostra nuova casa!”
Mi venne un colpo al cuore, sono certo che si fermò almeno per un minuto. Il bandito venne fuori dall’ombra. Era vestito quasi tutto di nero e aveva un grande cappello. Dalla spalla al petto aveva un cinturone di cuoio da cui pendevano dei proiettili e delle piccole bombe a mano. La faccia era coperta da una bandana. Al dito indossava un anello rotondo, d’oro, con incise le lettere GF (le sigle di Gold Finger). In vita, al cinturone, portava una pistola nera con inciso un teschio sul manico.
Visto che lo stavo guardando un po' incuriosito ed un po' terrorizzato, mi diede un calcio sulla bocca:
Maledetti bastardi, se non volete morire o lavorare per l’eternità, ditemi dov’è la vostra carovana!” 
Noi gli rispondemmo che eravamo stati abbandonati, e che il nostro padrone era morto.
Lui fece una smorfia: 
Lavoravate per quel tizio?”
Mentendo gli dicemmo che quello ci faceva lavorare giorno e notte e che ormai a lavorare sodo eravamo abituati già dalla nascita.
Una balla che doveva spingerlo a non sprecare l’opportunità di farci lavorare come schiavi invece di non ucciderci subito. Come stavo dicendo, lui prese il fucile e con un colpo di manico, ci colpì fortemente entrambi sulla testa. Mi svegliai per il rumore di un colpo di pistola, proprio accanto a me. Presi un tale spavento che mi alzai in piedi di scatto, per ritrovarmi faccia a faccia con un ciccione pelato, ma con una folta barba nera.
Indossava soltanto un gonnellino fatto di stracci. In mano aveva un frusta nera, formata da tantissime catene di ferro.
Si mise ad urlare, con un calcio nello stomaco colpì Cui e lo fece svegliare. Un brutto risveglio non c'è che dire, povero Cui. Il bestione ci disse di girarci, ma appena ci girammo ci diede una frustata così forte sulla schiena da farci saltare via dei pezzi di carne e di sangue. Quel colpo fu così doloroso da farci urlare, e quando lo facevamo il bestione ce ne dava un’ altra, fino a quando imparammo che stare zitti conveniva. Cominciammo a guardarci intorno. Era una grotta gigantesca e il soffitto arrivava fino a circa ottanta metri. Intorno a noi c’erano almeno un centinaio di persone. Tutti avevano in mano un piccone e continuavano a scavare. Per spostarsi usavano dei grandi ponteggi, sul quale gli schiavi potevano salire o scendere in base al lavoro che dovevano fare. Ci avevano riempiti di botte eppure volevamo soltanto dissetarci alla grotta e... adesso eccoci qui. Avrei fatto sicuramente la stessa fine di quel giovane, ma senza tentata fuga. L’unica cosa che vedevo in quell’enorme grotta, erano persone innocenti di tutti i tipi: bambini, adulti e anziani. Il ciccione mi ordinò di fare quello che facevano gli altri. Prese un anziano che non riusciva neanche a tenere il piccone in mano e lo uccise per darmi il suo piccone. Cui, invece, avrebbe raccolto le pietre per caricarle nella carriola e portala da quelli che la analizzavano in cerca dell'oro. Dopo una lunga giornata di lavoro, ci dissero di andare a dormire, nel luogo che loro ci indicavano. Purtroppo, i posti in cui dovevamo dormire, non erano un gran che. Era soltanto una stanza, si dormiva distesi per terra, al freddo, e con mille guardie che non distoglievano mai gli occhi da noi. Se beccavano qualcuno parlare, questo si prendeva cento frustate per ogni parola. Proprio quella notte, assistetti alla morte di un bambino di cinque anni per delle frustate. Quello mi fece capire tutta la loro crudeltà. Visto che non potevo parlare cominciai a pensare ai miei genitori: non gli avrei visti mai più e sarei marcito in quel buco per l’eternità. Il mattino successivo, mi svegliai bruscamente da una tremenda frustata alla schiena: era stato quel tizio ciccione, era lui di guardia, e quindi non sarebbe stata una bella giornata. Purtroppo, Cui era stato spostato in un altro settore, però, dormivamo l’uno accanto all’altro, sperando che primo o poi saremmo usciti da quel buco orrendo. Volevo scappare, pure nel più brutto dei modi, dalle latrine, ma in qualche modo volevo cavarmi fuori da quell'inferno. In quei giorni, dovetti mettercela tutta per non essere ucciso, mi mancavano le forze. Finalmente fu l'ora di dormire, continuavo a fissare la guardia: stava allerta e ci guardava uno ad uno. Ogni tanto gli cadeva la testa sul petto e poi si ridestava, finché si addormentò. Speravo di poter agire, ma non potevo. Anche il mio vicino di giaciglio era sveglio, e approfittai per parlarci: 
Come ti chiami?” 
Mi chiamo Napa... hai fame?”
Io feci segno di sì con la testa e lui dalla tasca estrasse una salsiccia. Mi disse di mangiarla e io lo feci senza pensarci due volte, la mangiai in un solo boccone. Disse che l’aveva rubata dalle tasche di una guardia quella mattina. Quando mi svegliai, sentii dire dalle guardie che il capo, aveva portato tanta polvere da sparo proveniente dalla Columbia e che l’avrebbero messa in enormi sacchi, vicino a dove lavoravamo, certi che noi non sapessimo cosa fosse. Notai che alcune sere delle guardie ne prendevano un po’ e poco dopo si sentivano degli scoppi. Pensai a Napa: se era riuscito a prendere quella salsiccia dalle tasche di una guardia, allora, poteva prendere anche la polvere da sparo di nascosto!
Avevo un piano che ci avrebbe salvato tutti. Mi serviva, però, una fonte di calore. Mi vennero in mente le parole di Maricoleap. Per avere il loro aiuto, dovevo soltanto fare un grande fumo. La sera, quando la guardia si addormentò, parlai a Napa del piano che avevo in mente. Gli chiesi se fosse in grado di procurarmi della polvere da sparo e una pietra focaia. Lui disse sì. La sera dopo, arrivò con tutto quello che gli avevo detto, come se non ci fosse nessun problema o ostacolo. Gli spiegai che proprio quella notte, con il mio piano, avrei liberato tutti da quell’orribile buco. Feci passaparola a tutto il mio piano, appena avessero sentito il mio urlo si sarebbero dovuti spostare tutti con me. Presi la pietra focaia e il bastone che mi aveva dato Napa, e accesi un piccolo fuoco.
Misi il fuoco sulla polvere e sentii dei gridolini. Mi misi ad urlare come un matto. Gli scoppi si susseguirono ovunque fino a far saltare le porte, i muri e i ponteggi che crollarono tutti. Meno male che nessuno di noi morì. Le guardie, sì, quasi tutte, perché lanciavamo su di loro la polvere: morivano come mosche. Questo posto, conteneva centinaia di guardie, ma la stanza che li conteneva fu chiusa da un enorme masso, non potevano proprio passare. Trascorse molto tempo prima che ci fu di nuovo silenzio. A parte le urla dei soldati rimasti bloccati nella cella. Gli indiani, vedendo il fumo, ci vennero in soccorso.Maricoleap, per la nostra resistenza nella grotta infernale, ci premiò come futuri Kaoi delle carovane.
Ora siamo considerati da tutti come degli eroi.

sabato 22 giugno 2013

PRESENTAZIONE 1°G

Ciao, ci siamo anche noi!

Siamo la 1°G e abbiamo condiviso con la 1°F il laboratorio di narrazione e adesso anche questo blog.

In classe siamo in ventidue e le femmine battono i maschi per numero, anche se solo di poco.
Non a tutti noi piace scrivere, però, siamo molto chiacchieroni... ci piace raccontarci quello che facciamo!

Quest'anno ci siamo impegnati anche nella scrittura e abbiamo creato delle belle storie che vi faremo leggere. Alcuni di noi hanno lavorato da soli, invece, altri hanno preferito lavorare in gruppo (al massimo di tre componenti), perché abbiamo scoperto che le idee diventano migliori quando ci sono più teste che le pensano.

Speriamo che vi facciano divertire, a noi piacciono da matti!

Ciao ciao!

(i ragazzi della 1°G: Jihane, Sofia, Pietro, Uzma, Cristiano, Valentina, Jessica, Martina, Simone, Corrado, Andrea, Giada, Afreenish, Sara, Ali Shafat, Valentina, Davide, Papa, Debora, Andrea, Bryan, Davide --- tutti promossi in!!!)




PRESENTAZIONE DELLA 1° F

Non pensavamo che scrivere potesse essere un'avventura, eppure per noi è stato proprio così!
Siamo i dodici alunni della classe 1°F, classe a tempo prolungato, di Agnosine: sei maschi e sei femmine.

Due nostri compagni sono di Bione, una compagna ha origini algerine e uno marocchine.
Possediamo tutte le caratteristiche della nostra età: siamo vivaci, curiosi e fantasiosi e alla domanda "Ti piace la scuola?" rispondiamo in coro... NOOOOOOOO!!!

Per fortuna, però, le idee si possono cambiare. Scrivere, ad esempio, non per tutti è un'attività entusiasmante, ma grazie anche al laboratorio di narrazione abbiamo potuto farlo divertendoci insieme.
Oltre al laboratorio di scrittura, nel corso di questo anno scolastico (2012-2013), abbiamo potuto divertirci anche con il "Progetto Scacchi" (che ci ha aiutato a usare meglio la nostra mente) e il "Progetto Yoga" (che ci ha fatto scoprire un modo diverso per rilassarci e concentrarci).

Vi parleremo di tutto questo un po' per volta, ma prima vogliamo farvi leggere i racconti che abbiamo scritto e raccolto nel nostro e-book "Che Storia! ... le Storie continuano".

Ciaoooooooo!!!

(i ragazzi della 1°F : Manuel, Yousra, Lorenzo, Federica, Alessia, Arianna, Alessandro, Arianna, Simone, Asia, Anas --- tutti promossi in !!!)

PASSAGGIO DEL TESTIMONE!

Ciao,
noi siamo la 1°F e la 1°G della Scuola Media di Agnosine e abbiamo ereditato Qua la penna! dai nostri compagni della 3°F che ora stanno frequentando le scuole superiori.

Anche noi abbiamo avuto la possibilità di partecipare al laboratorio "NEVERLAND... dove vivono le Storie" di Barbara Favaro e per questo siamo qui: vogliamo farvi leggere le nostre Storie!

Prendiamo possesso di Qua la penna! dopo un anno di lavoro, abbiamo realizzato un e-book con i nostri racconti e nelle prossime settimane posteremo le nostre mini-opere qui sul blog.

Speriamo che vi piacciano e se volete potete anche scriverci, noi anche se siamo in vacanza vi risponderemo di sicuro! 



BUONA ESTATE!!!





   

(i ragazzi della 1°F e della 1°G)